Quantcast
Channel: CESIM - Centro Studi e Iniziative di Marineo
Viewing all 9115 articles
Browse latest View live

FOTO, PAROLE E STORIE D'AMORE

$
0
0
ph maria ribaudo




Siete tutti invitati alla presentazione del libro di Nino Cangemi"D'amore in Sicilia" che si terrà venerdì 5 maggio 2017, alla ore 18, nella terrazza del ristorantino del centro storico di Palermo  Il Pipino Rosso. Avrò il piacere di dialogare con l'antropologa Valentina Richichi intorno alle vicende amorose di noti personaggi siciliani e nell'occasione inaugureremo la prima personale fotografica di Maria Ribaudo.
Vi aspettiamo!

L' AMOR CHE MOVE IL SOL E L'ALTRE STELLE

$
0
0

L’amor che move il sole e l’altre stelle.Un verso.

Un verso, un solo verso. Ramo di un albero, filo di una tessitura. Oppure, petalo di un fiore, se vogliamo rivolgerci alla classica contiguità della poesia con la rosa. Staccare un verso dal corpo di suoni e di silenzi cui appartiene, dall’onda del ritmo che in ogni parte di quel corpo trascorre, è come prelevare poche note da una composizione musicale. Un’azzardata sottrazione. Un arbitrio. Eppure ci sono alcuni versi, in tutte le lingue, e anche nella loro traduzione in altre lingue, che sembrano vivere di luce propria. E sembrano compendiare nel loro breve respiro la vita del prisma cui appartengono: schegge che si trasformano in sorgenti luminose, frammenti che raccolgono e custodiscono nel loro scrigno, integro, il suonosenso della poesia dalla quale provengono.

Un verso, un solo verso, può corrispondere, sul piano della poesia, a quello che nel campo della prosa Leopardi chiamava “pensiero isolato”. Nello Zibaldone lampeggiano alcuni “pensieri isolati”, sottratti all’ordine discorsivo della trattazione: la loro densità di teoresi è più forte di ogni diffusiva analisi.
Così, accade anche che alcuni versi isolati, pur sottratti alla loro organica appartenenza, finiscano col vivere di una vita propria. Richiamano, per analogia, quel sapere che, nella “cura di sé” consigliata dagli antichi filosofi, era compendiato nel “detto memorabile”, nei “veridica dicta”, per usare l’espressione di Lucrezio. Trattenere quei detti nella propria memoria era come dotarsi di un prontuario che all’occasione poteva suggerire modi di comportamento, orientamento per le scelte di vita. Lessico interiore di una morale. Allo stesso modo, trattenere singoli versi nella propria memoria è custodire un serto di parole che non riposano nella quiete di un senso o nell’armonia di un suono, ma fanno del senso un suono e del suono un senso e per questa loro singolare virtù o acrobazia o grazia irradiano un pensiero aperto, irriducibile a un solo significato, interrogativo.

Gustave Dorè

Di tali versi soli, e splendenti nella loro solitudine, dirò in questa rubrica. Ogni volta un verso ci inviterà a sostare alla sua ombra: per un pensiero al margine, per una annotazione esegetica, per una considerazione che può avere a che fare, più che col commento, con una libera interrogazione, e anche con quel divagare cui invita proprio quella conoscenza per via fantastica che è la lingua della poesia.
Di verso in verso: un cammino nel giardino della poesia. Un giardino nel quale si potrà sentire talvolta, insieme con il profumo dei fiori, il tragico della vita.
Con un solo verso un poeta può mostrare il doppio nodo che lo lega al proprio tempo e al tempo che non c’è, all’accadere e all’impossibile. In un verso, in un solo verso, un poeta può rivelare il suo sguardo, in grado di rivolgersi all’enigma che è il proprio cielo interiore e al movimento delle costellazioni, alla lingua del sentire e del patire di cui diceva Leopardi e all’alfabeto degli astri di cui diceva Mallarmé. E un verso, un solo verso, può essere il cristallo in cui si specchiano gli altri versi che compongono un testo. Per questo da un verso, da un solo verso, possiamo muovere all’ascolto dell’intera poesia.


L’amor che move il sole e l’altre stelle 

L’ultimo verso del Paradiso di Dante, l’ultimo verso della Commedia. Certo, è un verso che viene dopo l’ultima terzina, conclusivo, ed è parte di una frase poetica, che è questa:
   
     ma già volgeva il mio disio e ‘l velle
     sì come rota ch’igualmente è mossa
     l’amor che move il sole e l’altre stelle.
  
L’amore, quell’amore che è principio e anima dell’universo, quell’amore che muove il sole e le stelle, volgeva già il desiderio del poeta e il suo volere, lo volgeva, cioè accoglieva, nel suo ritmo, come ciascun punto di una ruota partecipa del movimento che ad essa è impresso. L’ultimo verso dice, dopo l’estrema visione, l’appartenenza dell’essere umano, di ogni essere, al ritmo dell’universo, all’unico movimento, un movimento che ha come sorgente e anima l’amore. Il libro della Commedia, il grande viaggio nei tre regni in cui vivono passioni e memorie e gesti e fremiti e sogni e fantasmi terrestri, ha al suo estremo la sconfinata apertura di una fisica cosmologica nella quale principio e respiro, energia e movimento sono compendiati nella parola amore. L’ultimo verso rinvia certo al movimento che apre la prima cantica, “La gloria di colui che tutto move”, ed ha la stessa apertura verso il cielo notturno e stellato, che è detta nella chiusa delle precedenti cantiche, dove sigillo ed emblema è ugualmente la parola stelle: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”, ultimo verso dell’ Inferno, “Puro e disposto a salire alle stelle”, ultimo verso del Purgatorio. Ma qui sentiamo che la congiunzione di amore e stelle (“L’amor che move il sole e l’altre stelle”) è misura e respiro dell’universo e compendia tutta la tradizione che ha legato l’amore, la poesia d’amore, alla cosmologia, al cielo stellato, al desiderio d’infinito.

Dante dà fondamento anche con questo ultimo verso – “l’amor che move il sole e l’altre stelle” – alla poesia d’amore occidentale, la quale declinerà in mille varianti la relazione tra l’amore e l’orizzonte cosmologico e stellare. Ma quest’ultimo verso raccoglie anche, come in uno sconfinato abbraccio, tutto quel che il canto, il XXXIII del Paradiso, il canto dell’ultima visione, ha messo in scena. A partire dalla preghiera di san Bernardo alla Vergine, nel corso della quale il santo indica, come in una pala d’altare, il poeta, il penitente giunto al termine della suaperegrinatio nell’oltremondo. Il poeta è invitato da Bernardo, dopo la bellissima sua intercessione, a rivolgere lo sguardo verso l’alto. Dove si dischiude il trionfo della luce. La luce, qui, è pura luce, non affidata a raffigurazioni di colori e forme: non ci sono esseri di luce con il loro volto, le loro ali fiammeggianti, le loro vesti abbaglianti. La luce è tutta dispiegata nella sua astrazione, nella sua coincidenza con la verità, potremmo dire. Portare nella lingua il sentimento di questa visione di luce è impossibile, c’è solo il resto, il riflesso, la traccia, di questa visione: come il sentimento del sogno che persiste dopo che il sogno è svanito, lasciando una diffusa dolcezza, come la neve che al sole si scioglie, si dissigilla, come le foglie lievi su cui la Sibilla scriveva i responsi, foglie subito perse nel vento. Una dolcezza resiste dopo la visione. E il lettore può evocare la stessa dolcezza che appare nell’ultimo verso dell’Infinito leopardiano, “E il naufragar m’è dolce in questo mare”, anche quella dolcezza resto di un’estrema impossibile visione.

Ma lo sguardo di Dante tenta l’azzardo: “Nel suo profondo vidi che s’interna / legato con amore in un volume / ciò che per l’universo si squaderna”. Riesce a vedere “la forma universal di questo nodo”, il nodo che unisce sostanze e accidenti, il nodo che lega ogni cosa del mondo: respiro dell’universo, del suo ordine. Ma si può rendere visibile, dicibile la divinità? Dante ne dà solo una similitudine: tre cerchi “di tre colori e d’una contenenza”. Solo un’approssimazione, una terrestre raffigurazione. In quella “luce eterna” che è intendimento di se stessa, amore di se stessa, ordine impenetrabile, fondamento che sfugge allo sguardo, il poeta non può penetrare, e tuttavia gli sembra che in quella luce traspaia un colore, un’immagine: “mi parve pinta della nostra effigie”. È l’immagine della terrestrità, del vivente umano osservato nel cuore di uno splendore indecifrabile. E il poeta si ferma dinanzi a ogni altro azzardo della comprensione, e della visione, come il geometra dinanzi al problema della quadratura del cerchio, si attesta sulla soglia delle approssimazioni per immagini, della lingua come luogo delle parvenze, delle tracce, dei riflessi d’una verità sottratta da sempre alla comprensione. Un ultimo fulgore percuote la mente e porta il desiderio di conoscenza verso la sua meta, ma in quell’istante cessa ogni fantasia, deflagra ogni potenza fantastica. Il poeta è già nel cuore di quel movimento che ha l’amore come principio, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

Antonio Prete

Testo preso da  http://www.doppiozero.com/




LA TENEREZZA DI G. AMELIO AL CINEMA

$
0
0
Un fotogramma del film

      Ho appena visto al Cinema l'ultimo film di Gianni AmelioLa tenerezza. Duro e tenero insieme, dopo un primo tempo troppo lento e sfocato, ti prende e ti commuove fino alle lacrime nel finale. Preferisco parlarne adesso con le stesse parole del regista, prese da un'intervista rilasciata alla stampa dopo l'uscita del film.   fv 

La tenerezza di Gianni Amelio
Il regista de Il ladro di bambini torna a raccontare una storia di sentimenti in una Napoli inedita: "Più i tempi sono difficili, più si ha il dovere della sincerità"
20 aprile 2017


Regista, cinefilo storico, insegnante al Centro Sperimentale, critico e anche romanziere: nelle vene di Gianni Amelio scorre l’energia del cinema. E anche a settant’anni ha ancora voglia di mettersi in gioco, con quel suo talento che ci ha regalato capolavori come Il ladro di bambini e Il primo uomo. La coerenza narrativa e la sobrietà dello stile lo contraddistinguono in un panorama che punta sempre più all’orpello, invece di focalizzarsi sulle emozioni.
Il 13 settembre dell’anno scorso Mondadori ha pubblicato il suo primo romanzo Politeama, il 24 aprile di quest’anno esce nelle sale La Tenerezza. Che cosa significa essere un narratore moderno?
Forse significa raccontare delle storie senza pregiudizi, non essere condizionati dai diversi linguaggi, come succedeva una volta. C’erano tempi in cui gli scrittori (penso a Mario Soldati) si concedevano al cinema per vile denaro, la nobiltà stava nella pagina scritta. Forse Pasolini è stato anche in questo senso un innovatore. Ma nel mio caso, da esordiente, non faccio testo. Girerò altri film e scriverò altri libri se me lo permetteranno, stando attento a non mescolare le carte. Di una cosa sono certo: non farò mai un film tratto da un mio romanzo.
Di quali storie ha bisogno la platea in quest’epoca di incertezze?
Non di storie falsamente rassicuranti. Più i tempi sono difficili, più si ha il dovere della sincerità, di uno sguardo onesto, anche duro, se è il caso. Il minimo che si possa chiedere a un narratore (cinema o letteratura non fa differenza) è di non ingannare se stesso e di conseguenza gli altri. Ma è un credo che dovremmo seguire tutti, come individui, come persone.
Con Così ridevano si è rifatto al grande melodramma di Rocco e i suoi fratelli. Con L’Intrepidoha raccontato la precarietà della vita di oggi. Quale impatto può avere un film come La Tenerezza?
Non lo so, me lo domando anch’io. E’ un film talmente diverso dagli altri, meno definibile, più inquietante… A suo modo è un film corale, dove ogni personaggio fa i conti con i sentimenti propri e altrui in un momento in cui la vita quotidiana, nella sua apparente normalità, viene scossa dalla tragedia. Se non cerco una facile consolazione, sento il dovere di non essere disfattista, di darmi coraggio e di condividerlo.
Che cosa è cambiato da L’intrepido (2013) a oggi nel cinema italiano?
Si è giustamente alimentato l’interesse per le grandi serie televisive. Il fatto stesso che si parli più di “serie” e meno di “fiction”, ci dice che siamo sulla buona strada. Il film “seriale” è un fatto molto positivo, che viene incontro al desiderio che ogni regista ha di non abbandonare i propri personaggi. L’altra novità è l’importanza che ha assunto il documentario, il cinema del reale. Penso che, negli ultimi anni, la barriera tra cinema d’invenzione e cinema di testimonianza sia quasi scomparsa per fortuna.
Elio Germano, Micaela Ramazzotti, Greta Scacchi, Renato Carpentieri, Giovanna Mezzogiorno: quali sono i segreti per dirigere un cast di spessore?
Nessun segreto. O forse sì. Dirigere gli attori come faccio con gli allievi del Centro Sperimentale: poche chiacchiere ad alta voce e ricerca di un rapporto più intimo, più segreto. Ogni attore, anche grandissimo, ha le sue fragilità (penso a Volontè, a Jean-Louis Trintignant, a Charlotte Rampling…), quindi bisogna rispettarle e farle proprie. Solo così l’attore si sente guidato e ti dà fiducia.
Il suo ultimo film è una storia di anime perse in una Napoli violenta. Dove si può trovare la tenerezza in un mondo che sembra popolato da naufraghi?
Ce lo chiediamo ogni giorno, ci auguriamo che il miracolo succeda, nonostante tutto. Ma forse è più semplice di quanto crediamo: trovare il coraggio di fare per primi il gesto che ci avvicini agli altri, che spezzi le distanze.
Truffaut diceva che i film devono contenere “un’idea di mondo e un’idea di cinema”. Qual è la sua idea di cinema?
Un solo comandamento: il cinema deve dire la verità. Lo sguardo della cinepresa è implacabile, se menti lo scopre subito.
Gian Luca Pisacane 

Da  http://www.cinematografo.it/




Il trailer del film

L' ITINERARIO ARABO-NORMANNO DI PALERMO E PROVINCIA

$
0
0

Itinerario arabo normanno


Itinerario arabo-normanno. Il patrimonio dell’UNESCO a Palermo, Monreale e Cefalù
Recentemente nominata Capitale Italiana della Cultura 2018, Palermo, insieme a Monreale e Cefalù, ha visto riconosciuti come “Patrimonio dell’UNESCO” i suoi monumenti arabo-normanni presentandosi all’Europa e al mondo come città d’arte e di storia. Un patrimonio che nasce da lontano, dai secoli passati, da popoli che hanno portato la loro civiltà e i loro valori, integrandosi in una terra che li ha accolti esaltando la loro cultura e la bellezza delle loro costruzioni. L’itinerario qui proposto conduce il lettore alla scoperta dei monumenti già annoverati nel percorso UNESCO e degli altri edifici dell’epoca che, per l’intreccio delle culture artistiche, sono ugualmente mirabili esemplari dell’età arabo-normanna.

Recently named Italian Capital of Culture 2018, and with its Arab-Norman monuments included in the UNESCO Heritage List alongside those of Monreale and Cefalù, Palermo proudly faces Europe and the world as a city of art and history.
This heritage derives from the past centuries when populations arrived in Sicily bringing with them their civilization and values, and were integrated in a land that welcomed them, and exalted their culture and the beauty of their buildings.
This book will allow readers to discover the monuments included in the UNESCO Itinerary and also other buildings that, thanks to their blend of different artistic cultures, are also important examples of the Arab-Norman period.

Autori: Maria Antonietta Spadaro e Sergio Troisi
Fotografie di Gigliola Siragusa 


            L' Editore offre il volume  al prezzo  di  
€14.00€11.90
                  a chi lo richiede direttamente all'indirizzo sopra indicato


E. MONTALE, Navigare nell'insicurezza

$
0
0



Mi chiedi perché navigo
nell'insicurezza e non tento
un'altra rotta? Domandalo
all'uccello che vola illeso
perché il tiro era lungo e troppo larga
la rosa della botta.


Anche per noi non alati
esistono rarefazioni
non più di piombo ma di atti,
non più di atmosfera ma di urti.

Se ci salva una perdita di peso
è da vedersi.

Montale/Il tiro a volo/ Diario del '71

PERCHE' OGGI PRESENTIAMO UN LIBRO E DELLE FOTOGRAFIE CHE PARLANO D'AMORE?

$
0
0



 ph. maria ribaudo

         Stamattina, mentre cercavo di riordinare i miei pensieri - in vista della presentazione  del libro di Nino Cangemi e delle foto di Maria Ribaudo che si terrà oggi, alle ore 18, nella bella terrazza de Il Pipino Rosso del centro storico di Palermo - mi sono tornate alla mente le parole di un autore che ho amato fin dalla giovinezza, Albert Camus, e ho capito che si trovano solo in queste la ragione per cui ho deciso di prendere questa iniziativa dopo anni in cui non ho fatto altro che parlare e scrivere d'altro. (fv)


La vita è difficile da vivere. Non si riesce sempre ad adeguare le proprie azioni alla propria visione del mondo. (E quando credo di intravedere il colore del mio destino, ecco che sfugge al mio sguardo.) Si fatica e si lotta per riconquistare la solitudine. Ma un giorno la terra ci rivolge il suo sorriso primitivo e ingenuo; e allora è come se in noi venissero d’un tratto cancellate e le lotte e la vita. Milioni di uomini hanno contemplato questo paesaggio, che per me è come il primo sorriso del mondo. Mi fa andare fuori di me, nella accezione più profonda del termine. Mi assicura che, all’infuori del mio amore, tutto è inutile, e che persino il mio amore, se non è innocente e senza oggetto, per me non ha alcun  valore. Mi rifiuta una personalità e priva di echi le mie sofferenze. Il mondo è bello e basta. La grande verità che esso pazientemente ci insegna è che lo spirito non è nulla e non è nulla il cuore. E che la pietra riscaldata dal sole o il cipresso ingigantito dal cielo scoperto sono i limiti dell’unico mondo dove «aver ragione» abbia un significato: la natura senza gli uomini. Questo mondo mi annichilisce. Mi porta sino al limite. Mi nega senza rabbia. E io, consenziente e sconfitto, mi avvierei verso una saggezza in cui tutto è già conquistato - se non mi salissero le lacrime agli occhi e se questo grosso singhiozzo di poesia che mi gonfia il cuore non mi facesse dimenticare la verità del mondo. 
*****
Il mondo senza amore è un mondo morto e giunge sempre un'ora in cui ci si stanca delle prigioni, del lavoro, del coraggio, [...], per reclamare il volto di un essere umano e il cuore meraviglioso della tenerezza. 
 

Da "Albert Camus, Taccuini 1935 - 1942"

Ieri al "Pipino Rosso" parlando d'amore e altro...

$
0
0
Soltanto una grande (per quanto giovanissima) fotografa, come Maria Ribaudo, poteva cogliere in un solo scatto il cuore del bellissimo incontro di ieri:

ph di maria ribaudo











foto di mario pecoraro e irene virga




Dentro di noi c’è una cosa che non ha nome, e quella cosa è ciò che siamo.

(José Saramago)

NUOVA GUIDA AI GENITORI CONTRO I BAMBINI TIRANNI

$
0
0


Eccesso di disponibilità e di protezione da parte dei genitori, bambini incapaci di accettare regole, convinti di essere il centro del mondo. Comportamenti disturbanti che sempre più vengono considerati come patologie e in quanto tali accettati. Il risultato è un numero crescente di bambini ingestibili a casa e a scuola. Daniele Novara, pedagogista, spiega come sia necessario ristabilire dei metodi educativi chiari.
Concita De Gregorio
Regole da genitori
Se non fate dormire il pomeriggio vostro figlio di tre anni perché lui non vuole, se a dieci è libero di venire nel lettone, se a dodici vi chiama al telefono in qualsiasi momento per chiedervi dove sei, cosa fai, quando torni. Se può entrare in bagno mentre ci siete voi, qualunque cosa stiate facendo in bagno, allora questo articolo vi riguarda. Vi riguarda anche se vostro figlio non ha (non ha ancora, non avrà mai) una diagnosi medica di disturbo specifico dell'apprendimento, Dsa, o una certificazione di bisogno educativo speciale, Bes, sigle che nella scuola dell'infanzia e primaria sono di uso comune poiché un bambino su quattro (uno su quattro) in una classe elementare italiana presenta diagnosi certificate di malattie di natura neuropsichiatrica. 
Negli ultimi dieci anni mentre gli alunni diminuivano, in cifre assolute, sono raddoppiate le certificazioni di disabilità e triplicate in quattro anni le diagnosi di disturbo dell'apprendimento. Esempi tratti da reali diagnosi: "il bambino ha un tono dell'umore fluttuante", "ha un'autostima ipertrofica con senso di grandiosità", "è fortemente attratto dai rumori dai quali si lascia distrarre", "fatica a restare fermo".
«L'infanzia è diventata una malattia», dice il professor Daniele Novara che per due ore desolato e appassionato si accalora a spiegarmi che i bambini non sono malati - non tutti almeno - alcuni sì, purtroppo, ma certamente non uno su quattro. Che i bambini nascono in questo mondo e tre sono le "agenzie formative" che agiscono sulla loro educazione: i genitori, la scuola e — attraverso gli adulti — il mercato. Bisogna restituire ai genitori e agli insegnanti il loro potere, non darlo ai neuropsichiatri. Ed è qui, quando inizia a parlare del «tragico mito del dialogo», dell'illusione che «gli adulti possano determinare il benessere dei figli con la disponibilità ossessiva» che la conversazione si fa interessantissima. Daniele Novara è un pedagogista, fondatore del Centro psicopedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti. Ha scritto molti libri, l'ultimo con Silvia Calvi si intitola L'essenziale per crescere. Educare senza il superfluo, Mondadori. Le sue tesi possono dividere ma su di esse vale la pena riflettere.
Partiamo dal "mito del dialogo", professore. «Sì. Il tragico mito del dialogo ha prodotto l'idea che educare i figli sia parlare con loro. È cresciuta una generazione di genitori che anziché decidere per il figlio decidono con lui, rinunciando al rischio della scelta e alla fatica del diniego. Genitori per i quali è inconcepibile procurare un dispiacere ai propri figli. Ma questo è un bisogno narcisistico dell'adulto: ai bambini ciò che serve per crescere è la verità del conflitto, non la saturazione apparente della sua assenza. Li inganniamo, così: non li mettiamo in condizione di affrontare la vita che presto, senza la protezione del genitore, li troverà deboli.
L'iper-attenzione verso i comportamenti dei figli presume che il controllo e la soddisfazione dei loro bisogni produca il loro benessere. Un danno enorme. Il registro di conversazione, in famiglia, ha assorbito quello educativo». Facciamo qualche esempio? «Il bambino che a tre anni non fa il pisolino il pomeriggio perché "non vuole". Ha detto di no, il genitore non obbliga, per carità. Ma perdere il sonno — dodici ore, a quell'età — incide sulla maturazione neurocognitiva. Dormire non serve solo a riposare le membra. Serve a eliminare l'eccesso di neuroconnessioni. Il bambino che non dorme il pomeriggio potrebbe soffrire di mancanza di concentrazione, distrazione, comportamento aggressivo, instabilità elevata».
Più avanti nel tempo, ecco «il padre che deve a tutti i costi giocare col figlio, rileggergli i compiti e correggerli, che anziché dargli una paghetta che il bambino deve imparare a gestire funziona da bancomat. Sa che i bimbi italiani hanno la più alta disponibilità economica di tutta l'area Ocse?
E ancora: il bambino è libero di invadere lo spazio degli adulti in ogni momento: questo genera in lui una sensazione grandiosa di sovranità. Figli che dormono nel lettone fino a dodici anni, che entrano nel bagno occupato dal genitore, che lo chiamano al telefono senza limitazione. Nessuno definisce il perimetro del loro ambito e il rispetto dell'altro. Con quali conseguenze?». Dobbiamo preservare l'infanzia dall'invadenza digitale, dice Novara. «La tecnologià va benissimo, se guidata. Ma l'uso eccessivo sotto i nove anni rischia di farci pagare prezzi altissimi. La Finlandia, che ha pensato di andare verso il futuro con l'uso dei tablet nella scuola primaria, vede ora i danni formativi: certificati, misurabili.
Oggi un marketing manipolatorio si rivolge a bambini sempre più piccoli e fa leva sulla disponibilità ad accontentarli dei genitori. Un ragazzino che combatte sei ore al giorno in un videogioco va verso il futuro? E le ragazzine che a dieci anni iniziano a postare compulsivamente le loro foto su Instagram? E poi. Un adolescente non può dormire con dispositivi led accesi, che lampeggiano e vibrano. È un rilievo igienico: è come dormire nudi al freddo. Ci si ammala. Le interferenze magnetiche luminose e sonore mandano al cervello segnali capaci di fuorviare le attività cognitivo cerebrali. Dopo sarà difficile collegare le conseguenze alle cause. Il nostro compito di studiosi è questo».
Dopo arriveranno le certificazioni. La ragazzina con diagnosi di autostima ipertrofica e sé grandioso, incapace di gestire il rifiuto di un coetaneo o il rimprovero di un maestro perché abituata a essere costantemente al centro della scena. Episodi di vomito, chiusura, isolamento, aggressività. La scuola chiama, consiglia di "farla vedere". Il genitore corre. La certificazione di ipercinesi consentirà al bambino di alzarsi dal banco per uscire in corridoio tutte le volte che vuole, quella di disturbo dell'apprendimento di non leggere ma ascoltare cassette, usare la calcolatrice, svolgere i compiti con un quiz.
Il comportamento aggressivo, o depressivo, quando diagnosticato darà al bambino un'idea di sé "fuori norma", indurrà ulteriore bisogno con conseguenze gravi sul suo futuro. A volte è necessario intervenire — discalculia, dislessia sono patologie reali, hanno bisogno di un sostegno — ma «è irrealistico pensare che un bambino su quattro sia malato. La diagnosi dà una percezione di efficienza istituzionale: li troviamo e li troviamo presto, si dice soddisfatto il sistema. Senza mai mettere in dubbio che il difetto sia in chi educa, non in chi è educato. Che il problema non sia nella mente dei figli ma nei metodi di chi li cresce».
La repubblica - 2 aprile 2017. 

LA BIBLIOTECA DI BORGES

$
0
0
ph di gigliola siragusa


Come tutti gli uomini della Biblioteca, in gioventù io ho viaggiato; ho peregrinato in cerca di un libro, forse del catalogo dei cataloghi; ora che i miei occhi quasi non possono decifrare ciò che scrivo, mi preparo a morire a poche leghe dall’esagono in cui nacqui. Morto, non mancheranno mani pietose che mi gettino fuori della ringhiera; mia sepoltura sarà l’aria insondabile; il mio corpo affonderà lungamente e si corromperà e dissolverà nel vento generato dalla caduta, che è infinita. Io affermo che la Biblioteca è interminabile. Gli idealisti argomentano che le sale esagonali sono una forma necessaria dello spazio assoluto o, per lo meno, della nostra intuizione dello spazio. Ragionano che è inconcepibile una sala triangolare o pentagonale. (I mistici pretendono di avere, nell’estasi, la rivelazione d’una camera circolare con un gran libro circolare dalla costola continua, che fa il giro completo delle pareti; ma la loro testimonianza è sospetta; le loro parole, oscure. Questo libro ciclico è Dio.) Mi basti, per ora, ripetere la sentenza classica: «La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile». 

JORGE LUIS BORGES , La biblioteca di Babele (in Il giardino dei sentieri che si biforcano)

ARIOSTO CON LE LACRIME E I SOSPIRI DEGLI AMANTI

$
0
0
ph di elena papadaki





Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l'inutil tempo che si perde a giuoco,
e l'ozio lungo d'uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,i vani desideri sono tanti,che la più parte ingombran di quel loco:ciò che in somma qua giù perdesti mai,là su salendo ritrovar potrai. 

Ludovico Ariosto/Astolfo sulla luna/Orlando furioso

ERICH FRIED IN MEMORIA DI OSIP MANDELSTAM

$
0
0
Foto del poeta Osip Mandel’štam  fatta dalla polizia stalinista nel 1934


Questa poesia spiega, meglio di tanti trattati storici, cosa è stato lo stalinismo. I versi sono terribili, ma terribilmente veri, e mi fanno ancora tremare...Eppure non mi stanco di ripetere che lo stalinismo non ha nulla a che vedere con la mia idea di comunismo. fv

Il poeta Osip Mandel’štam fu visto l’ultima volta
in un campo di smistamento prigionieri
presso Vladivostok nel dicembre del trentotto
mentre cercava resti commestibili in un
cumulo di immondizie.
Morì prima ancora che finisse l’anno.
I suoi assassini a quei tempi amavano parlare
del “cumulo di macerie della storia
sopra il quale
sarà gettato il nemico”
E dunque questo era il nemico: il poeta in fin di vita
e questo il cumulo di macerie (come già disse Lenin:
“La verità è concreta”)
Se l’umanità avrà fortuna
gli archeologi delle macerie della storia porteranno alla luce
ancora qualcosa della nostalgia di una cultura universale
Se l’umanità avrà ancora fortuna saranno uomini
gli archeologi sulle macerie della storia.


Erich Fried/Macerie/Nuovi poeti tedeschi /Einaudi

SCIASCIA CONTRO TUTTI GLI INQUISITORI

$
0
0




A quanto pare bisogna andar cauti in Italia e dovunque, in fatto di inquisizione (con iniziale minuscola), ci sono persone e istituti che hanno la coda di paglia o il carbone bagnato: modi di dire senz'altro pertinenti, pensando ai bei fuochi di un tempo. E viene da pensare a quel passo dei Promessi Sposi quando il sagrestano, alle invocazioni di don Abbondio, attacca a suonare ad allarme la campana e a ciascuno dei bravi che stanno agguatati in casa di Lucia «parve di sentire in ritocchi il suo nome, cognome e soprannome». Così succede appena si dà di tocco all'Inquisizione: molti galantuomini si sentono chiamare per nome, cognome e numero di tessera del partito cui sono iscritti. E non parlo, evidentemente, soltanto di galantuomini cattolici. Altre inquisizioni l'umanità ha sofferto e soffre tuttora; per cui, come dice il polacco Stanislaw Jerzy Lec, prudenza vuole che non si parli di corda né in casa dell'impiccato né in casa del boia.

Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra. Morte dell'inquisitore, Prefazione all'edizione Universale Laterza, 1967.

“L’eresia è di per sè una grande cosa e colui che difende la propria eresia è sempre un uomo che tiene alta la dignità dell’uomo. Bisogna essere eretici, rischiare sempre di essere eretici, se no è finita. E’ stato anche il partito comunista dell’URSS ad avere avuto paura dell’eresia e c’è sempre nel potere che si costituisce in fanatismo questa paura dell’eresia. Allora ogni uomo, ognuno di noi, per essere libero, per essere fedele alla propria dignità, deve essere sempre un eretico”

Leonardo Sciascia

J. PREVERT, Padre nostro

$
0
0

ph. di apollonia codie

Padre Nostro che sei nei cieli
Restaci
E noi resteremo sulla terra
Che qualche volta è così attraente
Con i suoi misteri di New York
E i suoi misteri di Parigi
Che ben valgono i misteri della Trinità
Con il suo minuscolo canale dell'Ourcq
La sua grande Muraglia Cinese
Il suo fiume di Morlaix
Le sue caramelle alla Menta
Con il suo Oceano Pacifico
E le sue due vasche alle Tuileries
Con i suoi bravi bambini e i suoi mascalzoni
Con tutte le meraviglie del mondo
Che sono là
Con semplicità sulla terra

A tutti offerte
Sparse
Esse stesse meravigliate d'esser tali meraviglie
E che non osano confessarselo
Come una bella ragazza nuda che mostrarsi non osa
Con le spaventose sventure del mondo
Che sono legioni
Con i loro legionari
Con i loro carnefici
Con i padroni di questo mondo
I padroni con i loro pretoni gli spioni e marmittoni
Con le stagioni
Con le annate
Con le belle figliole e i vecchi coglioni
Con la paglia della miseria che imputridisce nell'acciaio dei cannoni.
Jacques Prevert
riparole.it/poesie/poesie-anonime/poesia-12279>

KI NO TOMORI, Quieta è la luce

$
0
0
Foto di Masao Yamamoto




Quieta è la luce
nei giorni di primavera,
ma non c'è pace
per questo cuore -
sono caduti i fiori.


Ki No Tomori 898-930/ da Kokinwakashū


PS: Devo a Stefania Rossetti  la scoperta di questi splendidi versi e della bellissima foto. Grazie Stefi!

PICASSO PRIMITIVO

$
0
0

Un ritorno alle origini per cogliere il mistero dell'uomo, questo il senso dell'arte di Picasso.Una grande mostra a Parigi racconta l'incontro del pittore con l'arte africana.
Marino Niola
Così Picasso diventò primitivo
Senza l’art nègre Picasso non sarebbe diventato primitivo. E forse le Demoiselles d’Avignon non sarebbero mai nate. Ma, per fortuna, Pablo incontrò le maschere africane. E fu tutta un’altra storia. Una storia avvincente raccontata dettagliatamente dalla mostra “Picasso Primitif”, che il museo parigino del Quai Branly-Jacques Chirac, in collaborazione con il Musée national Picasso-Paris, dedica al rapporto tra il padre del cubismo e l’arte primitiva (fino al 23 luglio).
Il curatore Yves Le Fur, cui si deve anche il bellissimo catalogo edito da Flammarion, con felice scelta espositiva, ricostruisce stanza dopo stanza, passo dopo passo, gli alti e bassi di quest’attrazione fatale, che inizia nel 1907 con una visita al Museo etnografico del Trocadéro. E non è amore a prima vista. Anzi, è uno choc. L’odore di muffa e di abbandono che regnano in quelle sale deserte, quel sentore ostile di alterità, quelle forme oniriche che sussurrano formule oscure lo spaesano. Ma decide di restare. Perché i segnali di quel mondo perturbante, fatto di oggetti misteriosi e paurosi, lentamente gli svelano il senso stesso della pittura. Che è magico e non estetico. “Il giorno che ho capito questo, ho capito anche perché sono pittore. Le Demoiselles si sono realizzate proprio allora, ma non per una questione di forme, perché in realtà era la mia prima tela d’esorcismo”.
Da quel momento Picasso comincia a collezionare compulsivamente questi souvenirs d’exotisme che antropologi come Michel Leiris e Marcel Griaule, poeti come Guillaume Apollinaire, colleghi come Henri Matisse e la scrittrice Gertrude Stein, gli fanno arrivare da ogni parte del mondo. Li chiamano semplicemente negri, sia che si tratti di una statuina nigeriana, che di un palo totemico amerindiano. L’artista li porta con sé a ogni trasloco, piazzandoli un po’ dovunque, nei suoi atelier, nelle case parigine e soprattutto nella sua sontuosa villa di Cannes, La Californie, dove vive dal 1955 al 1961. I negri diventano la cifra nel tappeto della sua poetica. Perché questi idoli, trofei, scudi, tamburi, sonagli, diademi, non sono semplici objets d’art, ma le grandi matrici di un immaginario sommerso. Un continente ritrovato dei sensi.

Adesso sono tutti esposti nella mostra. Fra i più impressionanti un Nevimbumbao, fantoccio rituale delle isole Vanuatu, nel Pacifico occidentale, usato per spaventare i bambini durante le iniziazioni. Occhi esorbitati, ghigno inumano. Una marionetta infera, un emissario dell’Ade. “Quel coso della Nuova Guinea mi fa paura e deve farne anche a Matisse. Per questo vuole regalarmelo a tutti i costi”. Picasso rifiuta a lungo quel convitato d’argilla, ma alla fine non può opporsi alle ultime volontà di Matisse, che gli scarica l’inquietante eredità. Il merito di questa splendida esposizione è di materializzare l’officina creativa dell’artista, di rendere visibile la stratigrafia della sua ispirazione.
Perché se il rapporto tra l’autore di Guernica e le arti primitive è uno dei mantra più ripetuti dalla storia dell’arte moderna, nelle sale del Quai Branly questo rapporto diventa corrispondenza concreta di immagini. Un faccia a faccia tra Pablo e i primitivi fatto di accostamenti rivelatori. Per esempio tra la sacra allucinazione del Torero del 1970 e una maschera bicolore del Gabon. La civettuola Donna con cappello di paglia e foglie blu e un copricapo di piume e bambù dell’isola della Pentecoste. L’acume smarrito dell’Uomo che scrive e una maschera anamorfica della Nuova Guinea. La Testa di fauno barbuto con le corna a spirale del 1961 e la barba caprina di un satiro messicano di Tututepec.
Folgorante l’associazione tra un capolavoro come Doraeil Minotauro e una pittura degli aborigeni australiani che raffigura un coito mitologico, una cosmogonia sessualizzata. O la giustapposizione del piccolo Nudo con le braccia alzate, preparatorio delle Demoiselles, con un disegno su corteccia della Terra di Arnhem, in Australia, dove il femminile diventa un labirinto sospeso sull’abisso. In queste corrispondenze si coglie come l’incontro con l’arte primitiva sia la precondizione indispensabile alla nascita del cubismo e del surrealismo.
Che non sono un’invenzione individuale, dice il grande malagueño, né il semplice parto della fantasia di un artista, ma il riconoscimento improvviso di una somiglianza inattesa tra forme e colori lontani. Per calarsi nelle profondità dell’essere e ridurlo all’essenziale, Picasso è tornato alle origini.

La Repubblica – 30 aprile 2017

FRAMMENTI DI EMPEDOCLE

$
0
0

Sotto tutte le forme dei mortali


Tratto da Arca, n. 1, gennaio-aprile 1997.
Traduzione di Angelo Tonelli

Amici, che abitate la grande rocca presso il biondo Acragante
al sommo della città, voi che coltivate opere eccellenti
di governo, venerabili approdi per gli ospiti, ignari
di malvagità, salve! Io tra i voi come dio immortale
non più come uomo mortale mi aggiro
tra tutti onorato, come si conviene, cinto
di bende e corone fiorite; e tutti
quando presso di loro io giunga, nelle città
fiorenti, uomini e donne mi venerano e mi seguono
a migliaia per sapere quale sia il sentiero
dell’acquisto, e gli uni hanno bisogno
di vaticini, altri per malattie di ogni genere
desiderano ascoltare responsi che sanano
da lungo tempo trafitti da aspri dolori.

Quanti sono i farmaci contro i mali apprenderai
e contro la vecchiezza, perché per te solo
voglio compiere tutto questo. E placherai
il furore di venti infaticabili che sulla terra
levandosi con le loro folate devastano i campi, e a tua volta
se lo desideri susciterai soffi benefici, e da pioggia scura
creerai siccità opportuna per gli uomini, e dall’arsura
estiva farai scaturire correnti che nutrono gli alberi formandosi
nel cielo, e dalle case dell’Ade
trarrai il vigore di un uomo estinto.

E’ vaticinio di Necessità, antico decreto degli dèi
eterno, sigillato con ampi giuramenti; se qualcuno
con criminale uccisione contamini le mie membra
o seguendo Contesa per colpa commessa
giuri falso giuramento, costoro come demoni
che hanno avuto in sorte una vita longeva, per tre volte
diecimila stagioni vadano migrando
lontano dai beati, rinascendo
sotto tutte le forme dei mortali
nel corso del tempo, permutando
gli ardui sentieri della vita. E l’impeto
del vento li caccia nel mare, e il mare
li vomita sul dorso della terra, la terra
contro i raggi del sole rifulgente, e il sole
ancora nei vortici dell’aria; l’uno li riceve
dall’altro, ma tutti li odiano. E anch’io
adesso sono uno di costoro esule dagli dèi
ed errante, per aver confidato
nella folle Contesa.
E altro ti dirò: non vi è nascita per nessuna delle cose mortali,
né termine di morte le distrugge, ma soltanto
mescolanza e separazione di elementi
mescolati, che origine è detta dagli umani.
e nulla, del Tutto, vuoto: da dove
potrebbe sopraggiungere qualcosa?
Là non si distinguono le rapide membra
del sole, né la villosa potenza della terra
né il mare. Così nel fitto mistero di Armonia
sta saldo lo Sfero rotondo
che gioisce di avvolgente solitudine.
ma da ogni parte è uguale a se stesso, e per ogni dove
senza confini, lo Sfero rotondo
che gioisce di avvolgente solitudine.
Non si erge testa d’uomo sulle sue membra
non piedi, non agili ginocchia, non testicoli villosi
ma solo è un sentire sacro e indicibile
che con rapidi pensieri si slancia attraverso il cosmo.
Una stessa cosa i crini e le foglie
e le fitte ali degli uccelli, e le scaglie
che nascono su membra robuste
Perché già una volta fui fanciullo fanciulla
arbusto uccello muto pesce
che guizza fuori dal mare.

Nel confronto con ciò che è presente si accresce la saggezza
degli umani
Felice, chi possiede ricchezza di precordi divini, sventurato
chi ha a cuore un’oscura opinione sugli dèi.

ma la legge che governa tutte le cose ininterrottamente
per l’etere che da lontano domina si estende
e per l’infinita luce

__________________________
I frammenti di Empedocle di Agrigento, a cura di Angelo Tonelli, furono pubblicati nel volume Origini e purificazioni (Phusikà kai Katharmòi), Milano, Bompiani, 2002. L’edizione critica di riferimento è Die Fragmente der Vorsokratiker, a cura di Diels-Kranz, Berlin, 1971.
__________________________

Noi abbiamo ripreso tutto da https://rebstein.wordpress.com/2017/05/08/sotto-tutte-le-forme-dei-mortali/

LA GRECIA DI F. HOLDERLIN

$
0
0
ph. di filomena shedir di paola

Laggiù all’ombra dei platani
dove tra i fiori correva il Cefisio
e i giovani sognarono la gloria,
dove Socrate conquistava i cuori,
dove Aspasia incedeva in mezzo ai mirti,
dove un richiamo di fraterna gioia
dall’agorà sonora si levava,
e creò il mio Platone Paradisi;
dove inni solenni ravvivavano
la primavera e fiumi di entusiasmo
calavano dal monte sacro a Pallade
- omaggio alla divina protettrice -,
dove in mille dolci ore di poesia
la vecchiezza veniva come un sogno
divino – là t’avessi io incontrato
come da tempo ti incontrerò il mio cuore!
Quale abbraccio diverso! Tu mi avresti
cantato gli eroi di Maratona;
il più bello di tutti gli entusiasmi
avrebbe riso dai tuoi occhi ebbri;
giovane avresti il cuore della vittoria,
lo spirito lambito dall’alloro
non premerebbe l’afa d’una vita
che avaro il soffio della gioia allevia.
Tramontata è la stella dell’amore?
e l’alba rosea della giovinezza?
Tu non sentisti dileguare gli anni,
nella danza dorata delle ore.
Eterni come la fiamma di Vesta
coraggio e amore ardevano nei cuori,
eterna come i frutti delle Esperidi
gioiva l’orgogliosa giovinezza.
Ah, in quei giorni migliori non invano
avrebbe il cuore tuo grande e fraterno
battuto per un popolo per cui
fu così bello piangere di gioia.
Attendi. Verrà l’ora, verrà certo,
che separa il divino dal suo carcere.
Muori. Nel cerchio della terra invano
cerchi, nobile cuore, il tuo elemento.
E l’eroina, l’Attica, è caduta.
Sulle tombe dei figli degli Dei,
nella rovina delle sale infrante,
solitaria la gru sta nel suo lutto.
La primavera torna col sorriso
ma non ritrova più i suoi fratelli
lungo la sacra valle dell’Ilisso,
dormenti sotto i rovi e le macerie.
Il desiderio vola a quella terra
lontana, verso Anacreonte e Alceo,
e là vorrei dormire, in un’angusta
dimora, presso i santi, in Maratona.
Ma siano queste lagrime le ultime
che ora ho versato per l’amata Grecia:
stridano le cesoie delle Parche,
perché il mio cuore già appartiene ai morti.


FRIEDRICH HÖLDERLIN, La Grecia

G. RITSOS, La tua bellezza mi spaventa

$
0
0



Come sei bella

Come sei bella. La tua bellezza mi spaventa.
Ho fame di te . Ho sete di te.
Ti supplico: nasconditi; renditi invisibile a tutti;
visibile solo a me; coperta
dalle punte dei piedi ai capelli da un velo nero
trasparente
screziato dei sospiri d'argento di lune
primaverili...


Ghiannis Ritsos

LA LINEA DELLA PALMA SECONDO LEONARDO SCIASCIA

$
0
0

Sciascia politico. Fra le palme dell’antimafia

S’è discusso molto, negli scorsi mesi, delle palme a piazza Duomo di Milano. Botanici e climatologi, esperti di marketing territoriale e testeduovo di marche planetarie, amministratori locali e politici nazionali, paesaggisti e giardinieri, fancazzisti su Facebook e cittadini comuni: tutti a dire la loro, ché sembrava quasi di stare al bar dello sport durante un mundial prima dei fatidici rigori della semifinale. In pochi hanno però notato che, per ironia della storia, con quel curioso impiantamento nelle brume meneghine s’è avverata, alla lettera, la nota profezia di Leonardo Sciascia. La palma va a Nord, recitava il titolo d’un suo prezioso libro di trent’anni e passa fa – chissà perché mai più ristampato. E adesso sappiamo che c’è proprio arrivata, da quelle parti, sistemandosi benissimo, comodamente e orgogliosamente, a dispetto dei soliti detrattori sbraitanti in nome di un etnocentrismo deteriore che, per ulteriore ironia, oggi emana da tutti i pori tristi vampate di esoticità. Il monito di Sciascia, in quell’immagine delle palme viaggiatrici, era chiaro: non solo la più infida meridionalità, quella del malaffare sedicente politico e della criminalità organizzata, si espande verso il settentrione del Paese, ma lo fa con grande scaltrezza e celerità, ribaltando di fatto gli ideali di quel Risorgimento ottocentesco che avrebbero voluto unire il Paese in nome del migliore illuminismo padano.

È, come al solito, il pensiero strategico dei brand ad aver capito la sottile comicità della faccenda, affondando, come si dice, il dito nella piaga. Starbucks, tanto vale fare nomi, è una marca che ha fatto la sua enorme fortuna esportando nel mondo il modello conviviale dei caffè italiani: ci si accomoda, si sorseggia una tazza fumante e odorosa, ci si rilassa, si legge, si chiacchiera, magari si discute. Insomma: il modello gastronomico-filosofico-politico che, fra l’altro, ha dato il nome a quel Caffè dei Beccaria e dei Verri che Sciascia, e Manzoni prima di lui, tanto adoravano. Habermas ci ha ben spiegato che l’Opinione Pubblica è nata là. E adesso che il mondo l’ha conquistato per intero, Starbucks ha deciso di fare il doppio salto mortale e aprire i suoi locali proprio dove era partito, ossia appunto da noi, e nella piazza più ricca e nota d’Italia. Quel caffè sotto la Madonnina è insomma uno schiaffo morale e civile, economico e sociale. Ce lo siamo meritati: sapremo porgere l’altra guancia?


L’immagine sciasciana della linea della palma che sale impietosamente verso Nord acquista così, passando per la via larga della società dei consumi, una sua ulteriore verità, senza peraltro perdere quella che già aveva. Anzi rafforzandola: dovremo farcene una ragione. E in attesa di rileggere – si spera – il libro da cui tutto ciò che ha preso forma e sostanza, e soprattutto di darlo in lettura a chi da trent’anni viene praticamente secretato, possiamo provare a consolarci un po’ grazie alla ripubblicazione del suo più giovane compare d’anello, A futura memoria (se la memoria ha un futuro), mandato in libreria da Adelphi per l’amorosa cura di Paolo Squillacioti (pp. 205, € 24). I due libri infatti, come si ricorda nella postfazione, si susseguono e in parte si sovrappongono cronologicamente: la Palma raccoglie testi, articoli e interviste di Sciascia fra il 1977 e il 1980; la Futura Memoria mette insieme quelli dal 1979 al 1988.

È lo Sciascia più schiettamente politico, quello che usa intelligenza letteraria e sensibilità poetica per leggere, e provare a interpretare, gli eventi d’attualità, che in quegli anni erano d’estrema importanza e gravità: il dramma del compromesso storico, l’emergere del terrorismo, l’ambiguità dei servizi segreti, la lotta alla mafia, le prime diatribe sull’antimafia. Il tutto condito da quella che lui stesso soleva chiamare, e in buona compagnia (si legga Settanta di Marco Belpoliti, Einaudi), “retorica nazionale”.
Sta qui, se la memoria ha un presente, il famigerato articolo del 10 gennaio 1987 sul Corriere della sera dove, recensendo un libro di Christopher Duggan, con prefazione di Denis Mack Smith, sulla mafia durante il fascismo, viene fuori l’idea epocale dei cosiddetti professionisti dell’antimafia. Ricordiamo l’analogia che la genera: così come nel corso del Ventennio “l’antimafia è stata allora strumento di una fazione, internamente al fascismo, per il raggiungimento di un potere incontrastato e incontrastabile” (pagina 124), allo stesso modo oggi si usa l’“antimafia come strumento di potere” (stessa pagina).

E si fa l’esempio di “un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci a esibirsi […] come antimafioso” (pagina 125) e di un magistrato – che poi era il giovane Paolo Borsellino – che “per specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare” viene nominato procuratore della Repubblica a Marsala a dispetto di colleghi più anziani e con altri genere di titoli preferenziali. Solo che quest’ultima citazione (sempre a pagina 125) è alla seconda: è la citazione di Sciascia che cita fra virgolette il “Notiziario straordinario” del Consiglio superiore della magistratura del 10 settembre 1986. L’idea, e la relativa terminologia, di una competenza professionale nella lotta alla mafia non è dunque di Sciascia ma del più alto organo della magistratura italiana, che ne fa, come si direbbe oggi in burocratichese, criterio principale per l’assegnazione di posti di prestigio nelle Procure dove la lotta alla mafia è pane quotidiano. Riprendendola, e sottolineandone l’analogia con alcuni fatti accaduti ai tempi del fascismo (il prefetto Mori che taccia di mafioso chiunque si opponga al Duce), Sciascia certamente la amplifica, aprendo un dibattito, per essere eufemistici, che dura ancor oggi, e che ha esasperato ed esacerbato gli animi di politici e studiosi, opinionisti, attivisti e, ovviamente, magistrati.

Sarebbe troppo facile (e difatti lo si è fatto) dire che Sciascia aveva torto perché, fra l’altro, il povero Borsellino ha fatto la fine che ha fatto. Come si capisce bene rileggendo i successivi articoli presenti in A futura memoria, che entrano nel vivo della polemica con illustri giornalisti nazionali, Sciascia usava il caso Borsellino come puro esempio di una regola astratta e ben più generale. E sarebbe facile, allo stesso modo ma dalla parte opposta, additare il gran numero di sedicenti antimafiosi che, usando quest’etichetta (brand?), hanno fatto il gioco della mafia, direttamente o indirettamente, replicandone i modi aggressivi, gli obiettivi criminali, i mezzi delinquenziali. Basta ricordare un pungente libretto dello scorso anno di Gianpiero Caldarella, Frammenti di un discorso antimafioso (Navarra editore), per mettersi a ridere fino alla lacrime.

Quel che a distanza di trent’anni, senza per questo voler chiudere un discorso che è ancora – ahinoi – più attuale che mai, possiamo ricavare da tutto questo è una lezione di metodo. Nel senso più alto e più urgente del termine. Al di là del fanatismo, della violenza, della brutalità politica, della disonestà intellettuale, dell’ingiustizia, quel che Sciascia combatte – qui come altrove – è soprattutto la bestia nera della stupidità. Da cui una tragica considerazione: se la retorica antimafiosa, alla fine, riesce a imporsi, a vincere e a dominare, è perché essa opera in modo solo parzialmente consapevole. Per molti versi essa è infatti – a rileggere il libro ci accorgiamo che viene ripetuto ogni due pagine – frutto di cretineria, dell’incapacità di capire, ma soprattutto della mancata comprensione delle differenze. Giudicare è distinguere, distinguere è capire, capire è esercitare l’intelligenza. Così, saper differenziare – come direbbe il sempreverde quadrato semiotico – tra l’essere antimafioso e l’essere non mafioso è estremamente difficile per uno stupido. Ma non impossibile. I miei studenti, e non solo i miei, lo colgono immediatamente. Gli altri, per usare una nuova immagine di un autore assai caro a Sciascia, preferiscono andare a coltivare il loro giardino. Magari quello delle palme a piazza Duomo, sotto la protezione della sirena che sta nel logo di Starbucks. A fare e disfare quel che resta dell’Opinione pubblica.

Articolo ripreso da  http://www.doppiozero.com/materiali/sciascia-politico-fra-le-palme-dellantimafia

ADELE MUSSO IN MEMORIA DI PEPPINO IMPASTATO

$
0
0




Un fiore imprigionato e offeso
il sorriso di mia madre
sottile ferita su un volto imbiancato.

Nelle sue orecchie
il suono di una rotaia.

Nel mio paese
le persiane stanno
serrate
mute
come bocche cucite.

I vecchi, nere statue di sale
non si voltano indietro,
custodiscono cuori di tenebra
e segreti.

Ma la voce
è ancora nella testa,
sui muri, nella piazza, nell'aria greve.

E' dolce quella di Felicia
(minuta ragnatela)
lei ha dato scacco matto
al re,
morto lontano
dalla terra
arrossata dal figlio
poeta dilaniato.

Adele Musso


Viewing all 9115 articles
Browse latest View live